Sin dalle prime battute della divulgazione e informazione meteorologica, siamo stati abituati a sentire parlare nelle rubriche televisive della pressione atmosferica e delle sue variazioni, associate ai cosiddetti anticicloni e cicloni, ovvero aree di alta e bassa pressione, alle quali un po’ genericamente si associano condizioni meteorologiche stabili e instabili.
La pressione atmosferica è sostanzialmente il peso che la colonna d’aria che sovrasta le nostre teste esercita su tutta la superficie terrestre.
L’atmosfera non ha un confine netto, né soprattutto una densità uniforme, essendo composta da una miscela di gas (Azoto, Ossigeno, Argon, Anidride Carbonica ed altri gas minori): possiamo però tranquillamente affermare che già nei primi 30-35 Km al di sopra della crosta terrestre è racchiuso il 99,99% della sua massa: è chiaro che salendo di quota la colonna sovrastante diventa sempre minore e, di conseguenza, la pressione atmosferica diminuisce sensibilmente.
A livello del mare la pressione atmosferica si attesta intorno ai 1000 hPa; il Pascal è l’unità di misura della pressione e rappresenta la forza di un Newton esercitata su un metro quadrato di superficie. In vetta ad una montagna di 2000 metri siamo intorno agli 800 hPa, se saliamo in cima al Monte Bianco, a quasi 5000 metri, il barometro misura valori sui 550 hPa, rendendo ad esempio impossibile la cottura della pasta in modo tradizionale: l’acqua infatti bolle a 100°C ma, a pressione atmosferica intorno ai 550 hPa l’ebollizione si raggiungerebbe a temperature decisamente inferiori (circa 15°C in meno).
In meteorologia, in particolar modo per le medie latitudini, è di fondamentale importanza descrivere le dinamiche che portano allo sviluppo delle perturbazioni, che a loro volta scaturiscono dalla distribuzione della pressione atmosferica - il cosiddetto campo barico - sia al livello medio del mare sia in quota, almeno per i vari livelli della troposfera. Riferendoci alla quota, stiamo parlando del primo strato di circa 10 Km, la troposfera, ricco di vapore acqueo, ove albergano le nubi e si sviluppano le meteore, piogge, temporali, neve, grandine.
Al livello medio del mare la pressione atmosferica si rappresenta attraverso delle linee, le isobare, che uniscono i punti aventi stessa pressione atmosferica, in modo da avere un quadro chiaro della distribuzione della massa atmosferica e, quindi della posizione delle aree di alta e bassa pressione.
In troposfera, la rappresentazione sfrutta una tecnica differente: si fissa un valore standard di pressione (es. 850, 700, 500, 300 hPa) che comunque uno strumento misurerebbe salendo di quota, e si indica appunto l'altitudine a cui la pressione lungo la verticale assume il valore prefissato. Le isolinee disegnate sulla carta relativa a quel valore di pressione atmosferica (es. la 500 hPa) prendono il nome di isoipse (curve di uguale altezza, usate molto in topografia).
La carta che rappresenta il livello della 500 hPa è molto utile e, forse, è anche quella che i meteorologi usano di più, perché è ad un livello in cui l'attrito della superficie della crosta terrestre è nullo ed è ad una quota media rispetto al limite superiore della tropopausa. La 500 hPa ci dice come si distribuisce nello spazio l’altezza di tale superfice isobarica e fornisce, analogamente alle carte isobariche al livello del mare, un quadro delle alte e basse pressioni, che in questo caso si chiamano promontori e saccature.
Vediamo un po’ matematicamente come l’altezza del geopotenziale è collegato alle altre variabili atmosferiche.
L’equazione cardine è la cosiddetta equazione ipsometrica, che stabilisce la distanza tra due superfici isobariche, i valori di pressione delle due superfici e la temperatura media dello strato:
In sostanza la differenza tra due superfici dipende da quanto calda o fredda è la temperatura dello strato.
Se partiamo dalla pressione al livello medio del mare
p1 = p0 pressione al livello del mare
Z1 = 0
Si ricava che il valore Z, che possiamo riferire ad esempio alla superficie 500 hPa, assume alle varie latitudini e nel corso dell’anno valori fortemente variabili in funzione della temperatura dello strato che va dal livello del mare alla quota di tale superficie isobarica (che rappresenta alle nostre latitudini grosso modo la metà inferiore della troposfera).
D’inverno, specie a latitudini polari, il valore di Z scende sotto i 5000 metri: d’estate alle latitudini equatoriali e subtropicali arriva ad avvicinarsi a 6000 metri, raggiungendo però solo di rado tale valore, in particolare nell’area nord-africana e nel mediterraneo, proprio come sta accadendo in questi giorni.
Un valore di altezza della 500 hPa a 6000 metri è pertanto indice di una colonna d’aria particolarmente calda nella sua globalità. Questa informazione è molto utile per valutare l’intensità di una onda di calore, o heat wave come la si definisce tecnicamente.
In questi giorni centrali del mese di luglio 2023 l’ isoipsa 6000 metri è salita addirittura sulla parte settentrionale della Sardegna. Questo è all’origine di un fortissimo riscaldamento atmosferico su tutta l’area italiana, con valori di temperatura molto superiori alle medie attese per il periodo.
La pressione a livello del mare nel periodo caldo estivo non raggiunge mai valori elevati, perché c’è un effetto termico nei bassi strati che allontana tra loro le superfici isobariche: 1012-1020 hpa sono i valori tipici della pressione negli anticicloni estivi, contro 1036-1040 hPa ricorrenti in quelli invernali.
E’ il campo barico nella sua tridimensionalità che dà l’idea delle caratteristiche di un promontorio estivo e delle sue conseguenze in termini di ondata di calore e l’altezza del geopotenziale della 500 hPa è sicuramente un ottimo tracciante.