Venerdì 9 febbraio, alle 13:14 ora di Greenwich, le 14:14 in orario CET, è stato infatti registrato un intenso brillamento solare o solar flare di classe X3.3: il secondo più intenso dall’inizio di questo venticinquesimo ciclo solare. Il brillamento è stato emesso da una regione attiva non rivolta verso la terra sul lembo del disco solare, una posizione periferica che lascia intendere che la reale intensità del brillamento potrebbe essere molto superiore. Nell’animazione che segue è visibile l’emissione del flare ripresa dal satellite SDO della NASA, in un canale che osserva la porzione dello spettro elettromagnetico dell’estremo ultravioletto.
Figura 1. Brillamento Solare catturato dallo strumento a bordo del satellite Solar Dynamic Observatory (SDO) della NASA il 9 febbraio 2024. Credit: NASA/SDO.
Il brillamento ha prodotto anche un’enorme emissione di massa coronale (CME, acronimo dell'inglese Coronal Mass Ejection) che consiste nel rilascio repentino, in modo esplosivo, di una piccola porzione di atmosfera solare verso lo spazio interplanetario. Parte di questo materiale ricade sul Sole per attrazione gravitazionale, specie lungo le linee di campo magnetico che guidano il percorso delle particelle cariche. Il materiale che invece ha energia tale da sfuggire definitivamente all’attrazione gravitazionale del Sole, viene espulso e viaggia verso lo spazio interplanetario come una bolla di gas a centinaia di migliaia di gradi, costituito principalmente da elettroni, protoni e piccole quantità di ioni pesanti.

Tra gli effetti che possiamo sperimentare sulla Terra durante questi eventi c’è un incremento del rischio per le persone sui voli transpolari o per gli astronauti, in particolare durante le attività extra-veicolari, perché potrebbero subire una dose di radiazioni ionizzanti superiore al normale. Per questo motivo, il transito ad alta quota sulle aree polari può essere modificato o anche annullato dalle compagnie aeree in occasione di eventi intensi. L’attività solare ha inoltre effetto sui sistemi tecnologici, infatti il l’aumento del flusso di particelle cariche può causare delle perdite di efficienza dei sistemi di comunicazioni e localizzazione, e può avere impatto sui satelliti in orbita, nell’efficienza dei pannelli solari e sui circuiti elettronici a bordo.

Fortunatamente la CME prodotta da questo ultimo evento, non ha colpito pienamente la Terra, ma il suo arrivo in prossimità del nostro pianeta è stato comunque registrato dagli strumenti a bordo dei satelliti, che hanno rilevato un flusso di protoni energetici 100 volte superiore rispetto al normale background.
Per i giorni successivi, come mostra l’immagine di seguito, il flusso di protoni con energia superiore a 10 MeV è rimasto sostenuto, a seguito dell’emissione di CME multiple, ed ha superato il primo livello dei 5 della scala (da S1 a S5) elaborata dall’agenzia americana NOAA. Una scala in cui ogni livello corrisponde all’incremento di un fattore 10 del flusso di protoni con energia superiore ai 10 MeV.
Figura 2. Flusso di protoni con energia superiore a 10 MeV, dal satellite GOES 18 (NOAA).
L’animazione successiva mostra l’emissione di diverse CME, ripresa dal coronografo LASCO, a bordo del satellite SOHO.
Figura 3. Emissione multipla di CME ripresa dal coronografo LASCO della sonda SOHO (ESA/NASA).

Il flusso di particelle cariche aumenta molto la probabilità che ci siano delle aurore e che queste possano essere osservabili a anche a latitudini più basse. Insomma, la frequente attività solare degli ultimi giorni ha provocato fenomeni intensi ma anche spettacolari e, com’è lecito attendersi, anche con effetti tangibili su molte delle nostre attività quotidiane.