Cari Lettori,
come me, avrete avuto modo di constatare che sul continente europeo l'estate appena trascorsa è stata caratterizzata da contrasti termici piuttosto forti e da un incremento dei fenomeni temporaleschi, talvolta di natura estrema. L'ondata di calore registrata nel mese di giugno, non ha solo insistito a lungo sull'intero bacino del Mediterraneo, ma - come c'era da aspettarsi - ha inevitabilmente interessato la nostra Penisola.
A luglio lo scenario è cambiato. Le regioni settentrionali, soprattutto quelle del settore nord-orientale, sono state interessate da frequenti acquazzoni, spesso di forte intensità. Le regioni meridionali, al contrario, hanno subito la morsa del caldo intenso e la lunga assenza della pioggia. La situazione, già grave di per sé, ha finito così per contribuire alla violenza degli incendi boschivi, che hanno orribilmente deturpato molte zone del Paese.
In Sicilia, nel Trapanese, la Riserva dello Zingaro è andata quasi totalmente distrutta. Un incendio di ampie proporzioni ha mandato in fumo ettari di vegetazione in poche ore. Non è stato solo un danno ambientale, ma anche una profonda ferita inferta alla memoria, alla bellezza e alla straordinaria biodiversità di quei luoghi.
Ad agosto, se a Settentrione le temperature sono state piuttosto fresche e i rovesci non sono mancati, a Sud, il caldo è stato ancora persistente. Risultato: amplificazione dei fenomeni intensi, con quantitativi di precipitazioni davvero elevati, in molte zone del Nord Italia e della Toscana.
Ora, agli inizi d'autunno, il Mediterraneo, quale "hotspot" climatico, invia segnali inequivocabili; non devono e non possono essere trascurati. Il meccanismo che trasforma questo periodo in un momento ad altissimo rischio è ormai chiaro alla comunità scientifica: comincia con il ritiro dell'anticiclone africano. Si tratta di un evento che, se un tempo si manifestava con gradualità, oggi agisce come un vero e proprio detonatore. Il suo arretramento non apre più la porta a una transizione costante e progressiva. Favorisce, al contrario, fronti inesorabilmente instabili, permettendo alle correnti più fredde di scontrarsi con l'enorme quantità di energia
accumulata durante tutta l'estate.
Le conseguenze sono gli eventi estremi. Le alluvioni che hanno devastato Marche ed Emilia-Romagna non appartengono a un passato lontano. Non dobbiamo e non possiamo dimenticare. Non sono fatalità né, tantomeno, episodi isolati. Sono sintomi di una nuova normalità climatica. Perciò, è fondamentale passare dalla mera gestione dell'emergenza a una vera cultura della prevenzione. Bisogna ripensare l'uso del nostro fragile territorio, se vogliamo adattarci alla stagione autunnale senza subirne il pressing. Dobbiamo adoperare ogni mezzo, sfruttare ogni opportunità, accrescere ogni occasione di dibattito, di confronto e di formazione ad ogni livello. Le generazioni future hanno il diritto di vivere e di riconoscere come un luogo tutelato e protetto il nostro delicato ecosistema.